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Dal lato della panna


Gente che non ho mai visto che si muove intorno a me.

Velocemente.

In modo frenetico come quando si è in ritardo per qualcosa.

Finiscono gli ultimi ritocchi, mi vestono di fiorellini zuccherati, riccioli di panna montata e nastri colorati che mi avvolgono come volessero legarmi. Come se da un momento all’altro potessi tirar fuori due gambe, di marzapane magari, e fuggire via fuori dal ristorante lasciando alle mie spalle nastri colorati, chiazze di panna e camerieri furiosi e sudati che mi rincorrono.

Ma ovviamente me ne resto lì, vanitosa e profumata ad aspettare che mi facciano più bella che mai.

Sono pronta.

Due statuine in abito elegante che si tengono per mano sulla mia testa e via, di corsa su un carrello che cigola, passando per porte e corridoi fino a fermarmi davanti alla porta della grande sala, ansiosa di fare il mio debutto.

Un cameriere apre la porta. Quello che mi spingeva, sudato, si ricompone; si tira i capelli all’indietro prende fiato e si appiccica in faccia uno dei suoi migliori falsi sorrisi. Poi con passo fiero entra nella sala.

Tra lo stupore e le risa della gente, fra sguardi annoiati di bambini ed adolescenti faccio la mia camminata fra i tavoli, macchiati di vino e condimenti vari, con tovaglioli usati e sfatti sparsi ovunque. Le rotelle del carrello su cui mi trovo si inceppano in pezzi di pane e forchette a terra. Finisco la mia sfilata e mi piazzano davanti ad un tavolo che si trova esattamente di fronte a tutti gli altri tavoli. Sembra essere il più importante, ricco di fiori e cartoncini del menù.

Un tizio con un macchina fotografica mi scatta una foto dietro l’altra mentre i due seduti sull’importante tavolo si alzano, in faccia l’espressione mista tra vergogna, felicità e commozione. Si baciano e scattano ancora delle foto mentre io me ne resto lì ad aspettare di essere usata, di fare la mia parte.

Tra urla, risa ed incoraggiamenti vari degli invitati i due sposini si avvicinano a me, mano nella mano e in faccia più rossi della rosa che si affaccia dal taschino dell’uomo. Il cameriere, gonfio di orgoglio per esser stato lui ad avermi portato al cospetto degli sposi, si è fatto da parte dopo aver dato allo sposo un coltello, lucido e brillante come se non fosse mai stato usato. Almeno così vogliono far credere.

Eretti e sorridenti davanti a me, gli sposini, mano nella mano con il coltello in mezzo mi feriscono affondando la punta affilata, e poi si baciano mentre il fotografo scatta foto, come per immortalare un omicidio. Io attendo che mettano fine alla mia sofferenza o che decidano di infilzare, senza tante esitazioni. La lama affonda, viene sfilata dallo sposo per poi affondare un paio di centimetri più in là. Fa male e nessuno sembra accorgersene. Tutti troppo presi dall’amore e dalla domenica sportiva alla tv. I due assassini posano l’arma in un vassoio ed immediatamente il cameriere si avvicina deciso con un coltello in mano. Più grosso e minaccioso del precedente. Seguito da altri camerieri che portano piatti e cucchiai luccicanti. Come se gli sforzi fatti prima per abbellirmi e l’attenzione nel trasportarmi al cospetto dei due sadici non conti più. Il cameriere infierisce sul mio corpo con una freddezza e rapidità non umana. Mi dilania strappando pezzi di me, adagiandoli nei piattini che gli altri camerieri dividono tra i tavoli. Non sento più gran parte del mio corpo e quando il cameriere posa il coltello, di ciò che ero non rimane nient’altro che un vassoio sporco di panna e cioccolato. Briciole di me depositate lì, sofferenti e impotenti, ad esalare l’ultimo respiro fra le risa delle persone e due statuine sporche. Appiccicose e dimenticate senza importanza, ma sorridenti mano nella mano.


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